Fermata del 92, ore 7 del mattino.
Contributo di Nikita
Fermata del 92, ore 7 del mattino.
L’atmosfera è quasi sempre sonnacchiosa, interrotta a tratti dal vociare indistinto degli studenti. Oh, ecco quella t***a della mia morosa, urla uno di questi vivaci estranei. E lei, che pure ha sentito, vola a cercare asilo nel suo abbraccio.
Io la guardo e vorrei dirle: Perché? Ma l’espressione che deve risultare quella di un rimbrotto moralistico da anziana signora per le loro esuberanti effusioni.
Lei mi guarda e vorrebbe dirmi: Cosa diavolo c’è da vedere, vecchia baciapile?
Indubbiamente non sono, ahimè, più giovane, ma non sono una bacchettona. Ragazza, non ti sto guardando perché alle 7 del mattino hai voglia di baci infuocati. Mi sto chiedendo invece perché permetti a quello che ti dispensa abbracci struggenti e carezze passionali di definirti t***a.
È vero che molti vocaboli si sono desemantizzati, hanno perso parte della carica offensiva ed aggressiva che avevano un tempo, ma certe parole apparterranno per sempre a quel bagaglio di termini creato dai maschi per giudicare, insultare, ferire le donne che non corrispondevano al modello moglie/madre.
C’ era un tempo in cui il reggiseno si toglieva cantando “Sebben che siamo donne” in un afflato ebbro della conquista di libertà di azione e pensiero ancora negata. Oggi il reggiseno viene lanciato in aria come tributo a Vasco Rossi sulle note di “Albachiara”.
C’era un tempo in cui la Bibbia delle donne erano le analisi incisive della compagna Lidia Menapace. Oggi l’8 marzo si festeggia lanciando urletti isterici agli spogliarelli maschili e agli addii al nubilato si mangiano biscottini comprati nei sexy shop.
C’era un tempo in cui la lotta delle donne è servita a far approvare leggi come la 194 sull’aborto. Oggi tra gli haters della Presidente Boldrini (che non è certo in testa alla mia personale hit parade politica), tra i tanti commenti e le varie minacce che le vengono rivolte per il suo orientamento politico, molte sono le donne che evocano lo stupro, la violenza di gruppo come punizione.
Che ne è stato di quel tempo? Dove e cosa abbiamo sbagliato? Quando abbiamo introiettato la parte peggiore del mondo maschile? Quando abbiamo consentito che venisse nuovamente calpestata la nostra dignità? Purtroppo io non ho risposte, solo domande, ma temo che, ad un certo punto, dopo tanti risultati ottenuti con lotte e pazienza, qualcosa si sia interrotto, il testimone non sia passato di mano. O sia rimasto nelle mani di poche. E nelle crepe di questa sorellanza alla deriva è tornato ad inserirsi l’uomo con tutta la sua atavica violenza, con l’acido che sfigura, con il coltello che uccide.
Allora svegliati, ragazza mia, e se lui ti abbraccia chiamandoti t***a, gelagli in qualche modo il sorriso sulle labbra. Anche così ricomincia la lotta.