Nuovo femminicidio in provincia di Parma e la questione della “giustificazione”
A pochi giorni dal femicidio di Ana Maria Stativa, e dal ritrovamento del cadavere di una donna nel porto di Rimini, un’altra donna perde la vita in modo violento in Emilia-Romagna. Succede a Felegara di Medesano, in provincia di Parma, dove un pensionato di 75 anni, Gianfranco Carpana, ha ucciso la moglie Wilma Paletti e poi si è tolto la vita.
I giornali lo chiamano “omicidio-suicidio”, “tragedia familiare”; noi lo chiamiamo “femicidio”. La violenza contro le donne riguarda anche le anziane. È un tipo di violenza diversa, che ottiene meno attenzione mediatica, ma che ha sempre a che fare con i ruoli di genere, con le aspettative e i comportamenti che la cultura associa agli uomini e alle donne. Le donne anziane, nella maggior parte dei casi, vengono uccise perché malate e perché i loro compagni non riescono a svolgere quel lavoro di cura che a loro non è stato insegnato, e che da sempre pesa sulle spalle delle donne. (Leggi il resto della notizia su Coordinamento Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna).
La riflessione che ci preme fare tocca proprio questo punto. Ogni volta che avviene un femminicidio, i media, la società e a volte persino gli stessi soggetti coinvolti si affrettano a trovare giustificazioni per il comportamento violento: raptus, gelosia, amore “malato” se l’OGGETTO di violenza è giovane, e bella magari; sfinimento, difficoltà, disperazione se l’OGGETTO di violenza è anziana e malata. Perché sempre di OGGETTO si tratta. In entrambi i casi si giustifica un’inadeguatezza nel rapporto con l’altro che affonda le radici nel retaggio patriarcale della nostra società. Spesso questa inadeguatezza non viene stigmatizzata, nessuno si chiede come mai non esista la capacità di gestire i rapporti diversamente ma, finita la giustificazione, trovato il “movente” nell’inadeguatezza dell’uomo, finito il processo.
Per noi il processo, soprattutto alla società che produce questi comportamenti, comincia proprio da qui, come l’iceberg sotto la proverbiale punta. Sul banco degli imputati, insieme a chi la violenza la compie, deve finire il sistema che rende le persone, e le donne in particolare, degli oggetti, che se non rispondono più alla volontà di un padrone, o non svolgono più le proprie funzioni, possono essere “smaltiti” al pari di ogni altra merce.